La trincea

testo a cura di Toni Thorimbert

Per un fotografo, trovare la propria distanza,,, quella che mette tra il suo obbiettivo e il mondo che ha davanti, è un esercizio continuo e struggente, un perenne tira e molla tra il troppo vicino e il troppo lontano: testimoniare una faccia o dove vive questa faccia?? Entrare prepotentemente nel mondo tanto che questo sarà, di fatto, il tema della sua fotografia, o fare un passo indietro e raccontare di una relazione più intellettuale, più composta??? O farne altri tre, di passi indietro, e documentare, in un desiderio di oggettivo distacco, ciò che accadrebbe comunque, anche se non fosse lì presente? La questione, è chiaro, non è se tenere dentro, o meno, il palo della luce là in fondo sulla destra: la distanza tra fotografo e soggetto, quello spazio intangibile che reiterato nel tempo diventa cifra espressiva, racconta l’enfasi dell’artista – o la sua reticenza – verso il mondo e quindi inevitabilmente, del suo rapporto intimo con la complessa rete di segni e di emozioni che il mondo sempre elargisce quando si decide di comporlo in una inquadratura. Tre sono i mondi che un fotografo può esplorare: il proprio, il suo spazio vitale quotidiano, quello interiore, che si nutre di realtà per poi trasmutarla in uno specchio sognante ed onirico, e quello alieno, “l’altro mondo”, quello che proprio la macchina fotografica ti aiuta a scoprire, o meglio, che non avrebbe senso scoprire senza macchina fotografica. Quando gli americani andarono sulla Luna, l’oggetto più importante che portarono fu un’ Hasselbad. Ci sta. Che senso avrebbe avuto andare fino là, spendendo milioni di dollari in missili senza usare la fotografia per testimoniare di quel viaggio? Nello stesso modo, l’artista parte qui verso un paese lontano e sconosciuto, in un rito iniziatico volto alla ricerca della propria identità fotografica, una pratica che ben rappresenta sia l’esplorazione di un mondo “altro” sia la scoperta di un mondo proprio.

Come raccontare qualcosa che non conosco e che apprendo man mano che avanzo inquadrandolo? A quale distanza i nostri sguardi, il mio e quello dello sconosciuto qui sugli scalini della sua casa, si incroceranno, capaci di restare lì, disponibili e attenti, un tempo adatto al muto dialogo con la fotocamera? Come pagine estrapolate da un più grande affresco, queste immagini, in gran parte di persone ritratte immerse nel loro paesaggio quotidiano e domestico, raccontano il desiderio dell’artista di rendere consapevole a se stessa la misura del suo ingaggio con l’altro. Guardando queste fotografie mi immagino, non senza una certa vertigine, che lo spazio tra l’artista e “loro” sia un territorio vuoto e invalicabile, scavato come una trincea, un po’ come quella che, in una immagine tra le più potenti di questa serie, alcuni stanno scavando. E che la fotografia sia un ponte, una passerella, magari solo una sottile corda, tesa tra queste due sponde, e che il suo essere, il suo rappresentare, combaci perfettamente con la misura necessaria a colmarlo.

Cristina Potocean
Nasce nel 1990 a Satu Mare, una piccola cittadina a nord della Romania. Sviluppa fin da subito la passione per l’arte in ogni forma. Si appassiona alla perfezione e all’estetica del corpo, tanto da conseguire il diploma sportivo. Questa sua passione per l’estetica la porta ad amare la moda, che scopre grazie a riviste occidentali e numeri di Vogue fortunosamente trovati in una Romania appena uscita dal regime comunista. A diciotto anni arriva in Italia per tentare la carriera di modella ma dopo breve tempo scopre che la strada che vuole intraprendere è dall’altra parte dell’obiettivo. Decide cosi di iscriversi al corso biennale dell’istituto Italiano di Fotografia. Le numerose collaborazioni con modelle, stylists e make-up artists affinano il suo linguaggio fotografico alla ricerca di un proprio, riconoscibile stile. Attratta anche dalla fotografia di reportage viaggia alla volta del Madagascar dove il suo sguardo da esteta, affinato nella pratica della fotografia di moda, si approccia in modo deciso e personale a questo popolo carico di storia e fascino.